Ripercorrere la storia della compagnia di bandiera sarebbe svilente, triste, frustrante. Alitalia ha rappresentato il sogno di volare di un intero Paese. Oggi, nonostante miliardi di euro spesi per mantenere la compagnia di bandiera, sprecati in super manager, politiche criminali e piani aziendali scriteriati, la nuova ITA è l’incubo di una zavorra che non possiamo più permetterci.
Specchio di una nazione incapace di rendere ciò che è pubblico performante, se non per pochi manager, sempre gli stessi. In termini economici, sociali, culturali, le partecipate di Stato continuano ad essere croce e delizia di un Paese che continua ad essere la settima potenza mondiale nonostante conclamate incapacità, nel migliore dei casi, illecite disonestà nel peggiore.
ITA Airways, a meno di un anno dal suo lancio, miete insuccessi e perdite. 150 milioni di euro di passivo in soli 6 mesi, in soldoni circa 1,2 milioni di euro di perdite al giorno.
Eppure come da tradizione, non cambia mai l’assetto dell’azienda. Tanti manager super pagati, poche idee e confuse, ed un carrozzone di dipendenti gestiti male, tutelati peggio. Il Presidente, Alfredo Altavilla, manager di lungo corso in FIAT (altra società strategica italiana più volte sostenuta dallo Stato, con manager strapagati senza idea di futuro) e Fabio Lazzerini, uomo a cui il Partito Democratico ci tiene particolarmente, tanto da nominarlo in ogni dove (già ENIT per volontà di Franceschini), hanno ottenuto il via libera al nuovo bilancio che conferma stipendi da oltre 400 mila euro fissi, più ulteriori 400 mila euro in caso di raggiungimento di determinati obiettivi.
Tra questi obiettivi, appare quello della vendita della compagnia. Infatti è stata attivata la data room per l’acquisizione di informazioni utili e sensibili sul bilancio della compagnia, di modo che possibili acquirenti possano dettagliare offerte per rilevare la compagnia di bandiera.
In pratica per anni abbiamo salvato con soldi pubblici una società che sperpera denaro per stipendi a manager incapaci di rilanciare la società, a cui oggi riconosciamo un premio se invece di rilanciarla, la lanciano nelle mani di qualche altro investitore straniero.