E se Taranto diventasse la più grande gigafactory d’Europa?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), a distanza di quattro anni, ha nuovamente condannato lo Stato italiano. Quattro sentenze di condanna ai danni dello Stato, poiché La Corte ha rilevato che, “non sono state fornite informazioni specifiche sull’attuazione efficace del piano ambientale”. In sostanza, secondo i giudici di Strasburgo, dopo la condanna del 2018, l’Italia non ha comprovato l’efficacia di un piano ambientale che scongiurasse rischi gravi per la salute pubblica, comportando così un pericolo sanitario ed ambientale.

Ma c’è qualcosa di meno impattante a livello mediatico, ma molto più rilevante per il futuro della città, della Puglia e per l’intero Paese.

L’ex ILVA, nonché il comparto dell’acciaio, sono ormai settori in perdita, anacronistici. Fonderie e raffinerie di mezzo mondo hanno ridotto drasticamente produzione e lavorazione dell’acciaio, ed il costo sempre più basso della manodopera di alcuni Paesi, ha reso l’acciaio un business a perdere, come dimostrano gli ultimi bilanci di Acciaierie d’Italia.

Cambiano i mercati, cambiano i contesti, cambia la tecnologia. E se solo avessimo avuto manager capaci, imprese e politici illuminati, ciò che hanno fatto Germania e Olanda, sarebbe potuto avvenire anche in Italia. Una riconversione reale, solida, performante in termini di salute e ambiente, nonché remunerativo come business, verso nuovi mercati, in cui oggi la produzione italiana è carente, al limite dell’assente.

Il mondo delle batterie, soprattutto collegate all’accumulo dell’energia rinnovabile, è in grandissima ascesa, e si presume che per il prossimo ventennio sia di cruciale importanza nello sviluppo di piani industriali ed energetici di tutte le economie mondiali. La più grande gigafactory d’Europa al momento si trova a pochi chilometri da Berlino, ed è un investimento di Tesla, con cui il marchio americano sfida i colossi tedeschi dell’auto. Un’area di 300 ettari, che impiegherà circa 12 mila dipendenti, gli stessi impiegati nello stabilimento ex Ilva di Taranto.

Un privato, vero. Per la produzione di batterie di accumulo per automobili elettriche, giusto. Ma proviamo ad andare oltre.

Le batterie sono essenziali e i metodi di accumulo di energia rinnovabile saranno il business dei prossimi anni. ILVA copre una superficie di 15 km quadrati, quasi un quinto dell’intera città di Taranto, altro che 300 ettari. Acciaierie d’Italia è una joint venture tra il colosso Accelor Mittal e lo Stato Italiano, tramite Cassa Depositi e Prestiti. Una unione che può prevedere di comune accordo una conversione performante, dello stabilimento di Taranto, nella più grande gigafactory d’Europa, utile per fornire batterie e sistemi di accumulo alle stesse industrie del comparto, nonché ad attivare un’area commerciale plurimandataria, per i settori dell’edilizia, dell’automotive e dell’infrastrutturazione pubblica.

Ma c’è di più. Spostando l’intera impresa, su un nuovo fronte, portandola in un nuovo mercato, non solo significherebbe per sempre spegnere un’industria altamente dannosa per ambiente e salute, all’interno di un centro abitato. Significherebbe riconvertire e rigenerare un’area, adibendola alla produzione di componenti e materiali utili come pannelli solari, pale eoliche, sonde geotermiche e tutto ciò che ad oggi viene richiesto e che dobbiamo importare perché incapaci di una domanda interna ottimale.

Stiamo parlando di un investimento enorme, certo, ma sarebbe il miglior modo per provare a porre rimedio ad una ferita così profonda, nel cuore della Puglia, che solo una grande svolta green, dalla portata occupazionale così ingente, può riscattare, almeno in parte, il dolore e la sofferenza di una terra che non ha più nulla da dare, ma solo da ricevere.

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