L’Italia alla canna del gas.

Alla canna del gas. Ecco come si è ridotta la settima potenza mondiale, in assenza di piani industriali, energetici ed ambientali.

Col cappello in mano, in giro per il mondo, a fare elemosina per qualche miliardo di metro cubo di gas in più. Ci siamo ridotti così, senza ancora comprendere quale sia l’obiettivo politico del conflitto in Ucraina da parte del Governo. Fornire resistenza all’Ucraina, sanzionare la Russia, per indebolire e mettere in ginocchio Mosca, o sostenere l’Ucraina a livello umanitario e di difesa, accelerando però con la diplomazia?

Ed intanto vatti a cercare il gas, perché ti sei legato a doppio filo alla Russia. E dove siamo andati a prendercelo?

ANGOLA.

Il Paese dal 1975  fu afflitto da una guerra civile generata da conflitti etnici e da azioni colonialistiche incentrate su petrolio e diamanti. I due fronti che si osteggiavano erano MPLA (appoggiato da Unione Sovietica e Cuba) e UNITA (sostenuta da USA e Sudafrica). Nel ’91, in seguito ad accordi, le truppe straniere si ritirarono e vennero indette elezioni presidenziali, che videro trionfare il fronte appoggiato da Unione Sovietica e Cuba. UNITA, non accettò l’esito elettorale e si aprì un’altra fase di grave e sanguinosa guerra.

Si arrivò ad una stabilità molto precaria, tramite gli accordi di Lusaka, con la nascita di un Governo di unità nazionale. Gli Stati Uniti, approfittarono del crollo dell’Unione Sovietica, e dalla fine degli anni ‘90 instaurarono una solida alleanza con l’Angola che si disse favorevole alle guerre USA in Afghanistan e Iraq. Il gruppo UNITA, armato fino ai denti dagli stessi USA, spiazzato da questo atteggiamento, si ritrovò esclusa dalle dinamiche del governo angolano e ridotto ad un gruppo paramilitare, riaprì un fronte di guerra per riprendere il controllo del Paese. Il consiglio di sicurezza della NATO introdusse sanzioni e restrizioni a UNITA che alzò il livello dello scontro in una guerra che durò 5 anni e portò a quasi 2 milioni di morti. Solo un riavvicinamento alla madre patria Portogallo ha aiutato il Paese a ritrovare un periodo di maggiore stabilità.

ALGERIA.

L’ex colonia francese, è da tempo uno dei partener più affidabili di Mosca, a tal punto che lo stesso presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, aveva definito la Federazione russa di Vladimir Putin “un Paese fratello”. Al consiglio di sicurezza delle nazioni unite l’Algeria ha votato in favore di Mosca, ovvero astenendosi dalla richiesta di esclusione della Russia dal consiglio di sicurezza dell’ONU.

Al di la della gaffe del Presidente Draghi, che nella conferenza stampa congiunta ad Algeri ha espressamente ringraziato “ l’Argentina ”, il Paese nord africano ha ottenuto l’impegno dell’Italia nel sostenere le rinnovabili e la costruzione del gasdotto NIGAL, che dalle coste della Nigeria, passando per il Niger e arrivando in Algeria, dovrà portare altro gas in Europa.

CONGO.

Un altro Paese che si è astenuto dalla cacciata della Russia dal consiglio di sicurezza ONU è il Congo. Da sempre una nazione che vive tumulti, rivoluzioni e sanguinose guerre. Dai conflitti coloniali, il Congo ha tentato faticosamente la via dell’indipendenza, avvenuta sulla carta, ma faticosa e ancora oggi condizionata da molti fattori. Durante la guerra fredda si accentuarono le divisioni legate all’appartenenza a due fronti, uno filo sovietico, di tipo politico, l’altro filo USA di tipo economico. Ad oggi nel Kivu, area nel sud del Congo, ci sono violenti scontri e sanguinose rappresaglie, che interessano l’intera geopolitica mondiale. Il virus ebola mai debellato e l’enorme povertà, rendono il Congo uno dei Paesi più deboli e fragili del continente africano.  E mentre firmiamo gli accordi per altri miliardi di metri cubi di gas, nessuno ha osato chiedere verità sull’uccisione barbara del nostro ambasciatore Luca Attanasio, dietro cui ci potrebbero essere le Forze Armate della Repubblica democratica del Congo (le purtroppo celebri FARDC) e membri dell’intelligence.

AZERBAIGIAN.

La storia del paese è legata con il resto dell’Unione Sovietica fino a quando ottiene l’indipendenza nel 1991, ma la regione del Nagorno Karabakh si è dichiarata indipendente, portando ad una guerra al cui termine, nel ’94, le forze armene hanno conquistato ben 7 province dell’Azerbaigian che vennero poi annesse al Nagorno Karabakh.

Negli ultimi mesi si sono riaccesi gli animi, mai sopiti, per interessi contrastanti, tra un versante più filo occidentale, mosso da accordi di tipo commerciale per la fornitura di gas e petrolio ed uno più orientale, che mirerebbe ad una alleanza più strutturale, solida e lungimirante con i paesi ex unione sovietica. E chi pensa che il TAP si una mano dal cielo, non comprende quanto la guerra in Ucraina ci dovrebbe insegnare: se è di altri, dipendi da altri.

L’Italia sta ripartendo da qui, da questa polveriera, attingendo da altre fonti di gas collegate all’instabilità dai Paesi fornitori, in cui la disputa secolare tra blocco ex Unione Sovietica e Stati Uniti, non solo crea un solco diplomatico, ma ha generato più di un secolo di guerre. Se la storia dovesse insegnare, dovremmo aver compreso che, un piano energetico nazionale mirato alle rinnovabili è l’unica via per avere sostenibilità, autonomia e performance. Ed invece, siamo alla canna del gas.

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