Esplicita, oscena. Non si tratta di un’immagine, ne tanto meno di un film. E’ la pornografia nera, uno stile comunicativo che, dalla pandemia alla guerra, sta tracciando indelebilmente un varco tra l’informazione e la spettacolarizzazione. La prima, viene fagocitata dalla seconda.
Gli strumenti digitali hanno smontato il sistema del mainstream, facendo nascere tanti piccoli editori, il cosiddetto nanopublishing. Nel guazzabuglio dell’infodemia, dove la quantità eccede la qualità delle informazioni, diventa impossibile selezionare, comprendere, assimilare le notizie. E per emergere da questa matassa, si ricorre sempre di più a colpi di scena, sensazionalismi e provocazioni.
Uno stile noto da oltre un trentennio, che ha visto nella TV commerciale l’inizio del percorso. Chi si dimentica la domanda dell’inviata del TG5 ad un terremotato che dormiva in auto. “Cosa ci fa qui?”, ebbe il coraggio di chiedere nel cuore della tarda serata, al povero connazionale, la cui scossa aveva raso al suolo la casa.
Uno stile che continua a generare audience, follower, click. Fu tanto discusso l’approccio di Brumotti, per Striscia la Notizia, la cui missione, più che documentare le piazze di spaccio e di degrado, con sobrietà, diligenza e piglio, sembra essere quella di farne uno show. E se scatta la reazione, la rissa, la violenza, tanto meglio. Così, di puntata in puntata, con sfrontatezza provocatoria e forze dell’ordine al seguito, si confonde il coraggio con la missione.
Questo stile si è fatto disciplina con la pandemia, dove, nonostante i divieti e le aree off limits, quotidianamente, truppe televisive, entravano nelle terapie intensive, cogliendo ogni istante di quella linea non più immaginaria tra vita e morte. E’ stato così per documentare, non solo.
Ora la guerra, la prima vera guerra nell’Europa geografica, dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Alle porte dell’Europa politica. La prima guerra nell’era del nanopubblishing, dove gli smartphone riproducono e diffondono video mai visti prima, perché realmente amatoriali, veramente in prima linea, tristemente in trincea. Militari con videocamere GoPro per riprendere assalti e bombardamenti. Civili i cui video indirizzati a parenti e amici finiscono sul web, perché interrotti da un missile, da una scuola che crolla, da un palazzo sventrato. E per stare al passo di tanta documentazione, c’è chi sceglie di andare a fare una trasmissione in diretta TV.
Il caso Giletti sta agitando social e animi di un’opinione pubblica che, per semplificarsi la vita, è portata a schierarsi tra pro e contro, tra vax e no vax, tra Zelensky e Putin. E chi ha compreso questa dinamica dicotomica ci sguazza, prendendo i capitani delle due squadre e mettendoli a duello. Sguainate le spade. Dimenticando le posizioni intermedie, tralasciando l’analisi, affidandosi alla sintesi.
Così la pornografia nera colpisce, stupisce, tocca emotivamente e attrae. La spettacolarizzazione della guerra è l’ennesimo atto di una cultura dell’informazione che, in competizione con un punto di vista inedito, diretto, amatoriale, prova a costruire un racconto altrettanto autentico, anche a costo di portarsi dietro un’intera regia, come nel caso di Sean Penn, in Ucraina per girare un film sulla guerra.
E’ la pornografia nera, che preferisce simboli, bandiere, nomi, all’interpretazione di dinamiche, contesti e fatti. E’ la pornografia nera, la differenza tra il cosa si fa ed il come lo si fa. E purtroppo, il come, piace sempre di più a tutti noi, che nella quantità di informazioni, selezioniamo solo ciò che ci stupisce e la soglia inizia ad essere davvero troppo alta.