Il taglio dei parlamentari ha ridotto il numero di seggi disponibili, ed aumentato la foga per accaparrarsene uno. Così sebbene eletti per governare città e regioni, sindaci e presidenti di regione sono pronti a lasciare tutto, fare valigie e trasferirsi a Roma. Ma c’è chi ancora più nettamente, come Nicola Zingaretti, confessa: “mi dimetterò da Governatore del Lazio, solo se sarò eletto in Parlamento”. Nessun rischio insomma, se va bene tradisco gli elettori e vado in Parlamento, se va male, avrei voluto tradire, ma rimango sulla mia poltrona.
La politica si dimostra ancora una volta una pratica di utilità personale, un esercizio di forza ed equilibrio tra poteri, dinamiche interne e tornaconto personale.
C’è qualcosa che rende una poltrona di Montecitorio o Palazzo Madama sempre più ambita. Oltre al prestigio della posizione, un salario su cui nulla è stato detto e fatto negli anni, e che continua ad essere il più alto al mondo. Un parlamentare italiano costa all’anno 40 mila euro in più di uno tedesco, 56 mila euro in più di uno francese, 65 mila in più di uno inglese.
Per dare il senso della sproporzione, un parlamentare spagnolo guadagna 45 mila euro all’anno, uno italiano 145 mila. Finanche gli americani guadagnano circa 30 mila euro in meno degli italiani, nonostante rappresentino un Paese 30 volte più grande ed un elettorato 5 volte più vasto di quello italiano.
Ma non è finita qui. I regolamenti di camera e senato non forniscono la sufficiente trasparenza in termini di rendicontazione di indennità e rimborsi, perciò spesso sfugge qualche spesa di deputati e senatori.
Sarebbe il caso perciò di attuare il salario minimo, ma anche di pensare ad un salario massimo, per gli stipendi pubblici, come per i nostri parlamenti che, con un salario corrispondente alla media europea, di 84mila euro all’anno, continuerebbero a percepire un più che dignitoso stipendio.